Intervista al Segretario Generale della Cisl di Sondrio sul PNRR – Piano Nazionale di Ripresa

Disuguaglianze da ridurre e molta più attenzione al capitale umano.

Il Segretario Generale della UST Cisl Sondrio Davide Fumagalli

Ecco il punto di vista di Davide Fumagalli, segretario generale della Cisl di Sondrio, nel momento dell’apertura della fase congressuale della propria organizzazione.

Segretario, secondo i dati Anpal in provincia di Sondrio si sono persi mille posti negli ultimi due anni. Qual è la sua valutazione?
I dati degli avviamenti e cessazioni in un’economia fortemente influenzata dalla stagionalità come quella della nostra provincia sono di difficile decifrazione, soprattutto in un anno come il 2021 ancora troppo influenzato dall’emergenza Covid. I primi semestri non tengono conto dell’impennata
avuta nel terzo trimestre nel turismo. Tra l’altro parliamo di un’occupazione ancora più limitata nella durata dei contratti. In questo senso una riforma del mercato del lavoro che tuteli i lavoratori dentro e fuori dai luoghi di lavoro, unita a delle vere ed efficaci politiche attive, potrà garantire dignità e stabilità ai dipendenti e professionalità alle imprese. Di certo i dati della Cig ci dicono che il blocco dei licenziamenti di settori come il tessile e la moda è stata una misura che ha evitato numeri peggiori.

Parliamo di infrastrutture: come è possibile che ci vogliano le Olimpia-di per togliere i passaggi a livello?
Mi pare che le opere previste per le Olimpiadi siano quelle attese ormai da anni e farle passare come il nostro Pnrr significa che una parte della politica ha rinunciato in partenza a visioni più innovative e ad ampio respiro rispetto ai temi della mobilità e delle infrastrutture.

Intanto si attendono le risorse del Pnrr: si riuscirà a investirne almeno una parte sul capitale umano?
È il tema centrale a tutti i livelli: dalla riforma della pubblica amministrazione a garantire la continuità di servizi essenziali come il sociosanitario e a settori come l’edilizia, il turismo e i trasporti. E qui si ricollega il tema del mismatch tra le richieste delle imprese con l’offerta formativa. Il Pnrr contiene nelle missioni capitoli specifici su questo tema, ma si può dire che sono fondate sull’implementazione delle competenze. Nessuna transizione può avvenire senza in tutti i settori. Per questo non mi capacito quando, secondo i dati previsionali trimestrali del borsino delle richieste di professionalità, il 40% delle aziende non richiede alcun titolo di studio. È evidente che occorre un approccio culturale diverso, a cominciare dalle associazioni imprenditoriali che devono riconoscere la necessità di professionalità. Un fattore che unitamente al rispetto dei Ccnl significa dare dignità occupazionale e professionale e allo stesso tempo aumentare la qualità del prodotto, del servizio e dell’offerta.

Quali sono, quindi, le priorità per la Cisl?
Vediamo la necessità di un approccio integrale alla persona. Questa pandemia ha amplificato le diseguaglianze già esistenti, soprattutto tra le fasce sociali inserite in settori e contratti meno tutelati: donne, giovani ed immigrati. Vogliamo avere nelle nostre proposte uno sguardo che tenga insieme le varie fasi della vita, dai servizi all’infanzia a quelli della terza età, dall’istruzione a un’occupazione dignitosa. Senza dimenticare la conciliazione vita-lavoro, l’ambiente di vita, i servizi alla persona all’interno di politiche di prossimità attente all’ambiente. Per questo l’azione del Pnrr e in generale delle politiche non può non essere la prossimità e il protagonismo dei territorio che è chiamato a mettere in campo sinergie e competenze e visioni
d’insieme. Lo deve fare per tornare ad essere attrattivi per le future generazioni e fermare il trend di invecchiamento demografico e spopolamento verso l’esterno.

La vostra organizzazione ha promosso dei corsi di tedesco per frontalieri: un’iniziativa lodevole, ma che evidenzia l’assenza del pubblico. Ci si può aspettare un cambio di marcia?
È auspicabile, ma dipenderà dalla maturazione collettiva della classe dirigente, una presa di coscienza che dall’accettazione del fenomeno passi alla fase
del supporto, smettendo di ignorare l’importanza che riveste per l’occupazione provinciale di cui beneficiano ampiamente anche tutte le attività economiche della nostra provincia. Occorre anche per il lavoro la logica di collaborazione tranfrontaliera che in tanti campi è già stata sperimentato con successo, ad esempio culturale. Mi riferisco a formazione continua e riqualificazione mirata che, magari nei periodi di disoccupazione, devono poter essere discussi senza ambiguità anche per questi lavoratori.

Negli ultimi mesi non sono mancate le notizie preoccupanti per la sanità. Quali sono i vostri auspici?
La riforma della legge 23 rispetto al passato si cala nel contesto del Pnrr e quindi di ampie disponibilità finanziarie e si incardina sul concetto di un sistema sociosanitario di vicinanza e della presa in carico. Al netto di riuscire a realizzare le strutture che nel piano sono contemplate, il nodo difficile da sciogliere è quello della mancanza sempre più grave delle professionalità. Il sistema sta già implodendo e noi non siamo in grado di programmare
e razionalizzare la presenza di strutture sul territorio in base a queste drammatica realtà. Siamo fermi a un concetto di sanità basato sul passato che non tornerà più e il dibattito spesso si limita a questioni irrilevanti e già superate dalla realtà dei fatti.

Al centro del dibattito sono tornate le pensioni. Quali sono le priorità, tenendo conto anche dei dati valtellinesi?
Il tema è articolato. Come Cisl vogliamo che il governo, al di là della legge di stabilità, riapra il tema con le parti sociali per discutere di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro, lasciando le persone libere di decidere volontariamente quando smettere di lavorare, secondo noi a partire dai 62 anni. Bisogna rendere strutturale l’Ape sociale allargandola ad altre categorie di lavoro pesante e gravoso, ragionare su una pensione di garanzia per i giovani destinati al contributivo puro e alle prese con carriere lavorative discontinue, e incentivarli ad aderire alla previdenza complementare, valorizzare il lavoro di cura.

Il 16 ottobre a Roma, in occasione della manifestazione “Mai più fascismi”, il sindacato era in piazza unito. Potrebbe essere l’inizio di un percorso
sempre più condiviso?

Mi pare che il tema dell’unitarietà del sindacato oggi non è messo in discussione. Ritengo una ricchezza per il Paese avere tre sindacati confederali che nel rispetto reciproco hanno la libertà di visioni anche differenti nelle discussioni e però anche la responsabilità di trovare una sintesi quando si tratta di tracciare un’azione comune. Il ruolo cruciale che il sindacato confederale è chiamato oggi a svolgere sta nel portare sui diversi tavoli una capacità di lettura adeguata dei bisogni, nonché competenze in grado di garantire la progettazione di misure di politica e servizi realmente innovativi così da garantire più sicurezza, equità e sostenibilità. Lo possiamo fare contribuendo a costruire un modello sociale ed economico che non escluda nessuno.

Articolo di Stefano Barbusca pubblicato sul quotidiano “La Provincia” di lunedì 1° novembre 2021